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iviamo in un mondo di semi. È una constatazione pura e semplice quella di Thor Hanson, autore di Semi, una classica non-fiction da poco tradotta da il Saggiatore. Con una scelta grafica, va detto subito, che spiazza rispetto all’edizione americana, senz’altro meno intrigante ma probabilmente più in linea con il registro del libro. E con una traduzione che talvolta perde la fluidità e l’informalità della versione originale, senza fortunatamente ridurre il piacere della lettura.
“I semi si sono evoluti sulla terraferma, dove le loro peculiarità davvero notevoli hanno influenzato il corso della storia naturale e di quella umana.” Hanson, biologo, ricercatore e conservazionista, mantiene la promessa fin da subito. Non siamo di fronte a un saggio naturalistico, a una dotta dissertazione per appassionati botanici. Il suo racconto si svolge con il tono dell’avventura, della storia, che ha i semi come protagonisti ma che è strettamente correlata con le vicende umane. In molti ormai, e Hanson è chiaramente tra questi, sono convinti che si possa parlare di vera e propria coevoluzione tra uomo e piante coltivate. E il nodo di congiunzione di questa vicenda intrecciata sono appunto i semi. Invenzione essenziale per le piante terrestri, per assicurarsi le generazioni future, una dispersione territoriale e il successo nella colonizzazione dell’ambiente. Essenziali per noi umani, perchè sono la chiave di tutta la nostra alimentazione, direttamente o indirettamente. Senza semi non ci sono coltivazioni né allevamenti. Non c’è cibo, e quindi non c’è civiltà. Dalla sfiziosa barretta di cioccolata con nocciole e mandorle fino ai componenti principali della nostra dieta, il pane, la pasta, il riso o gli altri cereali che costituiscono per tutti i popoli della terra la stragrande maggioranza dei pasti. Semi lavorati o meno, cotti, macinati, impastati. Semi, comunque, dappertutto.
Il racconto di Hanson non muove in senso cronologico ma funzionale e si concentra dunque sulle varie caratteristiche dei semi, la germinabilità, la resistenza, i diversi gusti, le forme, i ‘sistemi di trasporto’ preferiti per essere dispersi lontano dalla pianta madre. Per esplicitare quanto i semi abbiano plasmato la nostra storia e quanto ancora dobbiamo capire come funzionino esattamente, dove si nasconda il loro segreto e perché ce ne siano così tante tipologie diverse, Hanson si muove avanti e indietro nel tempo, passando da una spedizione contemporanea di paleobotanici in una miniera del New Mexico all’assedio dell’antica città di Masada eretta in riva al Mar Morto da parte delle truppe romane guidate da Lucio Flavio Silva nel 72-73 d.C. L’episodio di Masada è centrale per riflettere sulla resistenza dei semi nel tempo. La popolazione ebraica assediata scelse di suicidarsi piuttosto che arrendersi ai romani e diede fuoco a tutte le riserve e i beni della città, monete, cibo, oggetti preziosi.
Molti secoli dopo, chi ha scavato tra quei resti ha ritrovato anche semi della palma da dattero della Giudea, ben nota anticamente e descritta in tante cronache dell’epoca nonché considerata una delle principali fonti di reddito del re Erode, che di Masada era stato fondatore. Ragioni climatiche e vicende storiche avevano nel frattempo fatto sparire quella varietà di palma da tutta la regione. Ma nel 2005 Elaine Solowey, esperta di agricoltura che lavora in un kibbutz nella zona del deserto del Negev, ha provato a piantare alcuni dei semi recuperati tra le rovine di Masada. E uno germoglia dando vita a un alberello, che per la sua vicenda particolare è stata chiamato Matusalemme. Una pianta che ha di fatto oltre 2000 anni di storia, uno degli organismi più antichi tra quelli viventi oggi sulla terra. Hanson parla di “corsa agli armamenti” per far comprendere lo sviluppo di strategie, anche molto raffinate, messe a punto da una delle popolazioni di mammiferi più antiche e popolose della terra, i roditori, e le piante. I primi per nutrirsi, le seconde per difendersi.
Prima della comparsa dei roditori, gli antenati di querce, castagni, noci e altri alberi se la cavavano con piccoli semi alati, ben poco protetti dal rischio di essere rosicchiati.
Un rischio contro il quale le piante hanno dovuto sviluppare rivestimenti robusti e gusci legnosi, mura più difficili da espugnare per garantire la sopravvivenza dei semi all’interno. Si parla di Gregor Mendel, naturalmente, e delle sue ricerche nell’orto del monastero per capire le leggi fondamentali della genetica. Esperimenti che l’autore racconta di avere ripetuto con l’aiuto del figlio nel proprio giardino. Ma si parla anche di Nikolaj Vavilov, il genetista russo che per primo, a inizio ‘900, ha capito che raccogliere e conservare i semi in una banca poteva essere una strategia valida per garantire la disponibilità di diversità genetica agli agronomi che devono migliorare le piante da coltivare nei diversi ambienti. Vavilov cadde in disgrazia agli occhi di Stalin perché non prometteva, diversamente dal pupillo del dittatore sovietico Trofim Lysenko, di risolvere il problema delle carestie in tempi brevi, consapevole che la genetica risponde a leggi e tempi ben precisi. E pagò con la vita il suo rigore scientifico. Hanson però ricorda anche i colleghi del genetista russo, i ricercatori della banca dei semi che difesero la collezione dei semi durante l’assedio tedesco a San Pietroburgo nel 1941, a costo della propria vita. Molti di loro morirono di fame, assieme a un milione di propri concittadini. Senza toccare quelle preziose risorse.
Si va in Costa Rica con Thor Hanson, vicino a quella baia di Puerto Limon, dove Cristoforo Colombo attraccò nel 1502. E si viene accolti da un abitante del posto con queste parole “Ci avete maltrattati fin da quando siete arrivati qui. Voi e il vostro Colombo”. E così Hanson ammette “più tardi, mi sono reso conto del fatto che Cristoforo Colombo e io avevamo davvero una cosa in comune: entrambi eravamo venuti per i semi”. Nei suoi viaggi, Colombo puntava ad aprire una nuova rotta per avere accesso a quelle spezie asiatiche che tanto interessavano i suoi finanziatori, i reali di Spagna, e che costituivano la merce di principale interesse dell’epoca. Invece si trova davanti a centinaia di piante sconosciute. Ed è convinto di aver trovato “il pepe sbagliato”, quel peperoncino che invece oggi ha surclassato il pepe asiatico nel consumo mondiale di spezie e che è diventata la spezia più popolare del mondo. I semi di peperoncino riportati da Colombo hanno dato vita a ben più di 2000 varietà di peperoncini oggi coltivati praticamente ovunque.
C’è sesso, in questo libro. Perché, come dice Hanson, l’invenzione dei semi ha radicalmente cambiato il modo di fare sesso tra le piante, passando da quello spesso solitario e scialbo “in luoghi bui e umidi” delle piante con spore a quello all’aperto dove polline e ovulo, e quindi i geni dei due genitori, si uniscono direttamente sulla pianta madre e sono poi ‘impacchettati’ in un discendente mobile, resistente, dotato di pranzo al sacco e quindi di tutta l’energia necessaria a germinare quando si trova nel luogo e nelle condizioni adatte. E c’è sangue, naturalmente, come nelle migliori storie. Dall’omicidio del dissidente bulgaro Georgi Markov, ucciso a Londra nel 1978 con un metodo degno del migliore intrigo internazionale, alla scoperta della ricina e della cumarina, potentissimi veleni che si estraggono dai semi, e di molti altri composti che possono, a seconda delle quantità e dei modi in cui vengono impiegati, curare o uccidere.
E poi, ci sono i soldi. Quelli che stanno dietro le grandi rotte dei cereali, che determinano gli equilibri socio-politici di interi paesi e quelli che vengono impiegati per controllare il mercato globale delle sementi, oggi uno dei più proficui e meno liberi che ci sia. Ne sono testimonianza le tendenze fortissime al controllo oligopolistico che negli ultimi anni hanno portato pochissime aziende a controllare di fatto il settore sementiero mondiale, come abbiamo già raccontato qui su il Tascabile. E c’è perfino il fracking, una delle pratiche più discusse e al tempo stesso diffuse per l’estrazione di petrolio e gas dal sottosuolo, che, per quanto sia difficile da credere, ha molto a che fare con la disponibilità di un certo tipo di semi.
Le pagine scritte da Thor Hanson scorrono facilmente, grazie al linguaggio e agli stratagemmi tipici della saggistica americana. Il narratore, di per sé un personaggio intrigante, è sempre in campo in prima persona e racconta camminando, muovendosi tra il proprio laboratorio, un capanno degli attrezzi convertito in fondo al giardino, le spiagge e le scogliere dell’isola nello Stato di Washington dove ha scelto di vivere assieme a moglie e figlio, le foreste del Centro America, un canyon nel Nuovo Messico, la banca nazionale dei semi nel Colorado, le montagne dell’Uganda e così via. Un po’ esploratore, osservatore e ricercatore, come tanti appassionati biologi, Hanson apre finestre di informazione scientifica accurata e sguardi verso i campi della ricerca che ancora devono spiegare tante caratteristiche della biologia vegetale in generale e, in particolare, di quella dei semi. Ma, diversamente da molti altri scienziati che tendono a rimanere chiusi nel mondo della ricerca, Hanson è saldamente ancorato alla realtà e sa ben raccontare e restituire la complessità di quelle vicende sociali, storiche e culturali umane che dai semi sono profondamente influenzate se non, in molti casi, addirittura determinate.